Salvatore Coccu |
IntroduzioneSalvatore Coccu (Batore in sardo) è nato a Bitti (Nuoro) il 13-02-1916 dove fece il pastore dall'età di 13 anni fino al 22-05-1938 quando fù chiamato alle armi.
Dal 11-06-1940 al 25-08-1940 ha partecipato alle operazioni di guerra contro la Francia nella frontiera Alpino-Occidentale
Dal 03-02-1941 al 23-04-1941 ha partecipato alle operazioni di guerra nella frontiera Greco-Albanese
Dal 09-09-1943 al 13-09-1945 è stato prigioniero di guerra in mano tedesca e rinchiuso nel campo Stalag IX-B presso Bad Orb
Salvatore ha scritto un libro per la sua famiglia riguardante i 9 anni trascorsi sotto le armi, dal quale sono stati tratti i seguenti capitoli.
Al campo di concentramentoRientrammo in caserma e da Atene si ritorna indietro per Lamia.
Dopo pochi giorni (09 settembre 1943), si presenta un plotone tedesco il quale convinse il nostro comandante a disarmare tutti i soldati italiani. Ci portarono nel campo che avevamo preparato noi per i prigionieri Greci, ma come vedete ci siamo finiti noi. Qui ci hanno tenuto cinque giorni, poi la nostra partenza dalla Grecia in treno per raggiungere l'Italia, così perlomeno ci è stato detto, ma non era vero, la nostra destinazione scoprimmo era Norimberga. Arrivati in una città Ungherese il treno si ferma, approfittiamo della sosta per scappare, eravamo in dodici, quattro sardi e il resto continentali. Raggiungiamo la periferia della città dove abbiamo incontrato un borghese che ci doveva procurare dei vestiti e portarci al confine della Turchia. Nel momento arriva una pattuglia Tedesca e ci domanda:
" Italiani, che fate ? "
" cerchiamo di raggiungere l'Italia "
Ci portarono via e ci condussero di nuovo al treno da dove eravamo scappati, ci chiusero dentro, e partenza. Il treno fermava solo in qualche stazione per prendere acqua, scortati sempre dalle sentinelle. Il treno continua il suo cammino lasciando indietro paesi e città.
Dopo venti giorni di un lungo viaggio senza mai darci niente da mangiare, solo acqua, si arriva a Vienna. Qui ci danno un mestolo d'orzo cotto con acqua e nuovamente via per la Germania.
Arrivati alla stazione di Norimberga, ci caricarono su decine di camion, poi nuovamente in treno e infine a piedi, arrivammo al campo di concentramento. Il campo era esteso appena due ettari, circondato di filo spinato e rete metallica, ogni cinquanta metri una sentinella che controllava e dava ordini.
Nel campo vi erano rinchiusi prigionieri francesi, serbi, russi, americani e di altre nazioni
In mezzo al campo c'erano i capannoni dove si dormiva con brande a due piani.
La baracche piccole erano in legno, altre, in muratura, erano molto più grandi. Al centro di ogni baracca c'era una stufa a legna che potevamo accendere solo per qualche ora al giorno, le baracche perciò erano molto fredde, infestate da pidocchi e da altri parassiti. Quando il numero dei prigionieri aumentava, i letti e le coperte diventavano insufficienti e molti dormivano per terra. Per mangiare ci davano un mestolo di brodo di patate o di barbabietola mattina e sera, a colazione il the. Molti che non avevano il gavettino la zuppa la consumavano dentro gli elmi. Il cibo era scarso e i prigionieri se lo rubavano a vicenda, la buccia delle patate e gli scarti della cucina venivano abbrustoliti nella stufa, quando questa era accesa, altrimenti si consumava cruda. Qualche volta, per favorire la defecazione, ci davano da mangiare delle ghiande macinate o intere.
Per avere qualche razione di cibo in più ci si offriva volontari o ci costringevano a lavorare, ci portavano in camion dove gli Americani la notte bombardavano creando delle buche, noi le dovevamo riempire. Ad ogni due soldati diedero un grosso bidone di alluminio con un asta di ferro per il trasporto e una pala; dovevamo riempire il bidone e portarlo dove c'erano le buche. Il bidone ci procurava delle ferite profonde, ci colava il sangue da tanta fatica e debolezza.
Dopo quindici giorni di duro lavoro ci riportarono al campo per darci (dissero loro) una bella notizia. La notizia era: "chi vuole andare a combattere in Italia contro gli Americani ? La Madre Patria chiama i suoi figli", chi era disposto ad andare doveva firmare "Si". Io, Pala, Sechi, e Sassu andammo per fare il contratto. Ci leggono il contratto, la circolare diceva che non si andava in Italia ma a combattere in Russia. Nessuno di noi sardi firmò " allora volete tornare in un campo di lavoro ? " gridarono " si, si " rispondiamo.
L'indomani partimmo in treno, eravamo 25 prigionieri italiani. Ci portarono in una centrale elettrica presso Hanau. Il nostro compito era quello di convertire questa centrale a carbone in una centrale idroelettrica. Si lavorava assieme ai borghesi tedeschi, tutti anziani, si andava d'accordo, ci si rispettava facendo ognuno quello che era comandato a fare. Il turno di lavoro iniziava alle ore 7 e terminava alle ore 17, alle ore 12 facevamo una pausa per pranzare. Per mangiare ci davano: a pranzo tre patate, la sera un mestolino di brodo di patate, cinquecento grammi di pane fatto di farina e legno macinato, la mattina sempre molto the.
Un giorno viene un ufficiale tedesco e un maresciallo italiano e ci dicono:
" Fratelli sono venuto da voi che avete fatto domanda per andare a combattere, la Patria vi aspetta "
e il tedesco:
" italiani, spero che siate volenterosi per difendere la vostra Patria, ora faccio l'appello, vi chiamo uno per uno, quelli che vogliono partire facciano un passo in avanti, quelli che non vogliono girano le spalle "
Tutti i venticinque prigionieri rispondemmo "NO".
"L'ufficiale Tedesco allora disse: "Da oggi vi sarà diminuito il rancio del 100%". Da quel giorno le patate ci venivano date crude, la paga era di pochi marchi, e ci serviva per comprare la birra. Eravamo in venticinque e consumavamo 60 litri di birra al giorno, si andava a comprarla in fabbrica accompagnati dalle sentinelle. Dopo un anno ci consentirono un pò di libertà, potevamo uscire la domenica, ma non oltrepassare i cinquanta chilometri dalla fabbrica. Ci dettero la tessera per andare a mangiare in trattoria, ma per i prigionieri solo patate e insalata. La prima domenica di libertà abbiamo deciso io e Pala di andare nei paesi di quei poveri tedeschi a chiedere del cibo. Partiamo in treno a trenta chilometri dalla fabbrica. Con soldi alla mano chiedevamo patate e mele. Nel treno c'erano parecchie donne russe e polacche, lavoravano in una fabbrica di tessuti ad un chilometro dalla nostra centrale, anche loro erano alla ricerca di viveri. Io e Pala abbiamo recuperato un dieci chilogrammi di patate e mele e per non stare con il carico appresso abbiamo deciso di nasconderlo sotto la neve. Rientrando dal paese passammo per prendere la roba nascosta ma non c'era più', era stata rubata dalle donne polacche e russe.
Le famiglie della zona consideravano gli italiani dei buoni lavoratori e così venivano in fabbrica e chiedevano alle guardie tre italiani. Ci volevano per lavorare il terreno e piantare patate. Avevano l'ordine dal loro governo, ci volevano bene e non ci facevano mancare niente, per dormire avevamo due stanze con una piccola stufa a carbone. Durante il lavoro in fabbrica, con un compagno stavamo trasportando un carrello pieno di sabbia, ad una curva ci si rovescia, la guardia intervenne e ci obbligò, al rialzo del vagoncino, per lo sforzo mi feci una storta alla schiena e mi ricoverarono in ospedale per quindici giorni. Tutti giorni mi facevano bagni di acqua fredda, niente massaggi, niente medicinali. Il mangiare era sempre brodo di patate, mi davano anche cinque sigarette al giorno. Scambiavo per una patata una sigaretta con i soldati russi, lo scambio avveniva nei gabinetti e accontentava tutte e due le parti. I prigionieri russi li portavano a lavorare e per paga ricevevano patate.
Quando sono rientrato in fabbrica, il lavoro con i carrelli e con i binari non lo facevo più', mi facevano fare altri lavori.
L'arrivo degli americani (dicembre 1944)Il tempo scorreva e un giorno con un camion ci portarono in un paese per farci un'iniezione contro la turbecolosi. Suonarono le sirene dell'allarme, nel cielo della Germania volavano più' di cinquecento aeroplani americani, questo durò per due giorni. In quei giorni di continui bombardamenti stavamo sempre dentro ai rifugi che noi stessi avevamo preparato. I soldati tedeschi erano spariti, vedemmo dei soldati americani e con le mani alzate ci siamo presentati al loro comandante, " chi siete ? " ci chiese,
" siamo soldati italiani, lavoratori nella centrale elettrica ".
Un sergente ci porta in paese, ci danno da mangiare, fanno aprire una bottega di vestiario e ci danno i vestiti che ci occorrono e ci riportano in fabbrica a fare la guardia. Ogni due giorni venivano e ci portavano da mangiare e da fumare. Noi italiani domandavamo di continuo quando ci avrebbero rimpatriato. Ci rispondevano: non appena il fronte si allontana.
Dopo quindici giorni l'ufficiale americano ci mise in mano una carta e autorizza la nostra partenza, erano ormai parecchi mesi che lavoravamo e vivevamo nella fabbrica. Io e i miei compagni prendemmo un carretto, ci abbiamo caricato un sacco di patate, una marmitta e un po' di margarina presa dal magazzeno e diamo inizio al nostro viaggio. Lungo la strada c'erano le truppe di soldati che seguivano il fronte, noi con una mano salutavamo col l'altra spingevamo il carretto. Dopo trenta o trentacinque chilometri, l'altolà di una guardia americana:
" chi siete e dove andate ? "
" siamo italiani".
Ci porta in una caserma tedesca e là ci dissero di attendere i nuovi ordini.
L'indomani eravamo più' di diecimila persone tra italiani, polacchi, russi. Qui siamo stati una settimana, avevamo una cucina dove facevamo da mangiare, eravamo liberi di andare in paese, entravamo nelle case che i tedeschi avevano abbandonato per prendere vestiario. I russi e i polacchi prendevano di tutto, mettevano dentro un sacco e via in caserma. Un giorno io e altri tre italiani siamo andati dove erano accampate delle truppe, scoprimmo che c'era ogni ben di Dio: scatolame di viveri, sigarette, pasta, caffè, zucchero, eccetera. Ad un tratto ci chiamarono e ci portarono dal comandante, ci accusarono di essere spie tedesche e che ci avrebbero mandato in Francia con gli altri prigionieri tedeschi. Noi ci siamo rifiutati di quelle accuse, e allora decidono di passarci alle armi. Ci portarono in un bosco di pini dove hanno radunato le loro truppe con un'arma automatica pronta per l'esecuzione. Ci hanno spogliato e controllato tutto ciò che avevamo: a tre compagni hanno trovato dei soldi tedeschi che teneva per ricordo della prigionia, a me hanno trovato una lettera che avevo scritto per la mia famiglia, in questa c'era il mio numero di matricola e il campo dove eravamo. Un ufficiale italiano arruolato con le forze alleate lesse la lettera, vide che era diretta in Sardegna e decisero di riportarci al campo e alla caserma dove eravamo sistemati da pochi giorni.
In questo modo ci siamo salvati dalla fucilazione. Dopo pochi giorni via in un altro paese sempre in attesa di rimpatrio. Gli americani venivano e ci portavano da mangiare. Io e Pala eravamo seduti in un banco del paese, passa una macchina della polizia americana, scendono, e uno di loro mi mette la mano nel collo e l'altra nel sedere e via nel camion. Lungo il tragitto, ogni borghese, uomo o donna che sia e di qualsiasi nazione, veniva caricata nel camion, tanto che all'arrivo eravamo in quindici persone tra borghesi e soldati prigionieri, fui rinchiuso sei giorni in galera.
In viaggio per l'ItaliaQuando gli americani decisero il nostro rimpatrio (agosto 1945), le guardie ci divisero nei vari binari: per l'Italia, Russia, Polonia, insomma per tutte le nazioni europee. I primi a partire sono state le donne russe. I loro bagagli venivano caricati tutti su uno stesso vagone con nome e cognome. Le persone salirono in un'altro vagone, nessuno doveva prendere niente e questo era giusto e regolare perché era tutta roba che avevano rubato dalle case tedesche. Mentre gli italiani non avevano niente, le donne russe e polacche avevano dei sacchi di biancheria e di tutto ciò che una famiglia può avere. Uno dopo l'altro i treni partivano. Arrivati al Brennero cambiamo vagone. Nella stazione c'era un prete con i piedi posati sopra un masso di cemento, lo chiamai: "reverendo, ha qualche cosa per noi reduci ? "
"niente fratelli" rispose. Eravamo contenti, magari morti di fame ma si respirava aria italiana. Il treno fermava in tutte le stazioni. Arrivati a Bologna ci hanno tenuto quindici giorni per il controllo della nostra salute.
Un giorno con Pala abbiamo conosciuto due suore che facevano servizio in ospedale e ci raccontarono che c'erano tante italiane malate (malattie veneree), e che un giorno arrivò in ospedale una signora con la figlia di 17 anni che si sentiva male, il dottore la visitò e le chiese:
" Signora, cosa ha sua figlia ? " la donna rispose che aveva avuto un rapporto con un soldato nero e lui gli aveva dato 20.000 lire.
" Signora con quei soldi alla sua figliola le può fare la cassa da morto "
Le sorelle ci dissero anche di stare attenti alle fidanzate e alle mogli, si aveva tanta paura di questa malattia. Il treno continuava il suo cammino. Arrivati a Livorno si ferma per tante ore. Alla stazione c'erano delle mamme che cercavano i propri figli, che dall'inizio della guerra non hanno avuto più' notizie. Noi reduci eravamo dodici, siamo scesi e siamo andati alla capitaneria di porto per chiedere se c'era qualche passaggio per la Sardegna, ma tutto era vano. Nell'attesa della partenza siamo andati a cercare del pane, per tutto ci voleva la tessera, ne abbiamo trovato un paio di chili, un panino da uno, un panino da un'altro. Si prosegue sino a Civitavecchia, scendiamo e tutti d'accordo ci siamo messi in una casa diroccata. Con un amico siamo andati al porto per chiedere se c'era qualche nave per la Sardegna, ci risposero per dopo domani.
" e a mangiare cosa ci date a noi che siamo reduci ? "
" diamo qualche cosa solo ai comunisti " risposero
" allora anche noi siamo comunisti"
e ci dettero una scatola di minestrone e mezzo chilo di pane.
L'indomani di nuovo al porto, ma la nave purtroppo non era arrivata. Abbiamo chiesto ancora qualche cosa per noi e ci diedero due litri di marsala che veniva dalla Sicilia. Dietro il forte di Civitavecchia c'era un soldato sardo che faceva la guardia ad un vagone pieno di nespole, saputo che eravamo reduci dalla Germania ci regalò una cassa di quel prodotto.
Il rientro a casaDopo tre giorni arriva la nave; non avevamo biglietto, ma per noi reduci non c'era bisogno. E così, grazie a Dio siamo partiti tutti. Al porto di Olbia c'erano decine di carabinieri e poliziotti. Il numero dei reduci partiti da Bologna era di dieci uomini e due donne, queste venivano con noi perché avevano dei figli avuti con soldati sardi. I prigionieri della Germania eravamo solo quattro: io e Pala di Bitti, e due di Bolotana: Sassu e Sechi. Arrivammo alla stazione di Olbia, ci si saluta con tutti i compagni e partenza col treno ciascuno per il suo paese. Il nostro stato di salute era ridotto a zero, pesavo una quarantina di chili, forse meno.
Arrivo a Bitti, non ricordo il giorno, ma era nell'agosto del 1945, dal 15 in sù. Tutti erano in attesa di me e del paesano Pala. Con affetto e con amore i nostri familiari tentavano di darci da mangiare, purtroppo il mio stomaco non accettava il cibo, solo due o tre patate. Dopo un periodo di sofferenza, ripresi a fare il pastore. Nel mese di gennaio del 1946, andai a San Teodoro, facevo formaggio tipo romano e lo portavo a Olbia. Qua c'era un mio amico il quale mi accompagnò da un medico e gli disse: "mi controlli questo giovanotto che è anche mio paesano, mi sembra che abbia la mia stessa malattia, è rientrato l'anno scorso dalla prigionia".
Mi misero nella macchina dei raggi x, e il professore disse: "vedete come questo giovanotto ha le budella? Purtroppo può campare ancora una ventina di giorni, ma se fa bene la cura che gli dico di fare guarirà".
Mi diede la cura, una medicina preparata da lui e mi disse: " mangiare insalata condita con olio e aceto e tre patate giornaliere, le tue budella si sono ristrette dalla fame patita in prigionia, non puoi riprendere a mangiare le cose solide perché rischi che le budella si rompano ".
Io dissi al professore: " faccio il pastore e la lattuga è difficile trovarla " ripose: "qualsiasi erba va bene, la metta sul fuoco a bollire e la condisca con olio e aceto" Ci salutammo. Ho fatto come mi è stato detto, e vi garantisco che lo stomaco mi funziona benissimo, dal gennaio 1946 che feci la cura.
Batore Coccu
Alba (Italy)
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